“Tu sei il territorio conteso, ovunque tu sia, chiunque tu sia”: queste parole compaiono in un documento teorico della NATO [“NATO’s Sixth Domain of Operations”, NATO Innovation Hub, settembre 2020] e si riferiscono ai nuovi metodi della guerra contemporanea, la guerra cognitiva.
La forma della guerra è cambiata. Oggi, accanto ai poderosi sistemi informativi tecnologicamente avanzati [il sistema MUOS e i droni spia che da Sigonella perlustrano il Mar Nero e non solo] la guerra riscopre i vecchi conflitti tra nazioni dello stesso peso: servono decine di migliaia di soldati per la conquista del terreno palmo a palmo con un enorme numero di morti. Di fronte a una guerra che tende ad essere una guerra totale, e che si prospetta come un lungo conflitto guerreggiato – che coinvolge i civili in una percentuale del 90% di vittime – è assolutamente necessario l’appoggio delle popolazioni delle nazioni coinvolte: l’obiettivo del 2% del PIL per gli armamenti e il conseguente disinvestimento in stato sociale indica l’enormità delle risorse economiche coinvolte e dei sacrifici che la società civile deve comunque sostenere, rischiando la distruzione totale nel caso il proprio territorio diventasse “teatro di operazioni”.
Il nucleo di novità della “guerra cognitiva” (cognitive war: la guerra nelle menti) si pone proprio questo obiettivo di conquista del consenso. Si tratta di pratiche di manipolazione rivolte non necessariamente contro un “nemico”, ma contro tutte le popolazioni coinvolte nei conflitti e di fatto contro l’opinione pubblica mondiale.
Gli elementi costitutivi della guerra cognitiva, elementi che devono essere messi in atto in modo coordinato affinché risultino efficaci e costruiscano quella “rappresentazione” che indurrà le popolazioni a pensare in un certo modo e non in un altro, sono:
a) la pubblicità, ossia diffondere messaggi il cui scopo molto chiaro è quello di influenzare;
b) la deception, ossia nascondere i fatti realmente accaduti attraverso varie forme di depistaggio;
c) la disinformazione, ossia diffondere notizie infondate al fine di danneggiare l’immagine pubblica di un avversario;
d) l’intossicazione, ossia fornire all’avversario informazioni sbagliate allo scopo di fargli prendere decisioni errate;
e) la propaganda, ossia impostare la comunicazione di eventi in modo da convincere il maggior numero possibile di persone della bontà di idee, ideologie o scelte.
Come si vede, la guerra cognitiva pone gravi problemi culturali e democratici: i maggiori media [stampa, radio, TV] allineati su un “discorso” propagandistico che individua “nemici” e giustifica le guerre; il giornalismo che ha perso, salvo rari casi, ogni indipendenza e libertà di inchiesta.
Di fatto la guerra cognitiva è portata contro i cittadini e le cittadine, considerati come “territori contesi”, da conquistare: quindi considerati come ipotetici nemici nel momento in cui non aderiscano al progetto bellico.



