
IL VOTO NELLA SINGOLA SCUOLA DECIDE LE OO.SS. CHE FIRMANO IL CCNL
Le profonde trasformazioni in chiave imprenditoriale che attualmente aggrediscono la fisionomia costituzionale della Scuola italiana si iscrivono coerentemente all’interno di un lungo percorso avviato dagli inizi degli anni ’90, a partire dalla cosiddetta “privatizzazione” [d.lgs. n. 29/1993, ora d.lgs. n. 165/2001] del rapporto di lavoro pubblico. Una trasformazione che ha introdotto anche nella Pubblica Amministrazione i princìpi base della cultura aziendale: “efficacia, efficienza e economicità”.
Nella Scuola tutto ciò si è concretizzato con l’Autonomia scolastica di Luigi Berlinguer e l’introduzione in chiave aziendalistica della dirigenza scolastica e delle RSU nelle singole istituzioni scolastiche.
Le Rappresentanze Sindacali Unitarie nascono per regolare l’attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro.
La partecipazione dei lavoratori alle decisioni relative all’organizzazione del proprio lavoro ha in Italia una lunga tradizione, consolidatasi nello Statuto dei lavoratori [la L. n. 300/1970]. Strumento inizialmente presente solo nel mondo del lavoro privato, ora trova applicazione anche nelle pubbliche amministrazioni, nelle quali il dirigente, che ormai agisce «con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro» [art. 5 d.lgs. n. 165/2001], «nell’attività organizzativa minore e in quella di gestione del personale non adotta più atti amministrativi, ma pone in essere atti negoziali di natura privatistica» [Gino Giugni].
Per individuare la rappresentanza dei lavoratori in questa negoziazione, e puntando ad una relativa omogeneizzazione tra lavoro pubblico e privato, viene estesa la L. n. 300 a tutta la pubblica amministrazione e prevista la costituzione di nuove rappresentanze elettive dei dipendenti nei luoghi di lavoro, le RSU appunto, che subentrano alle vecchie Rappresentanze sindacali aziendali – RSA (non elettive) previste dall’art. 19 dello Statuto.
Ma alla finalità specifica delle elezioni delle RSU – eleggere rappresentanti dei lavoratori nei luoghi di lavoro – è forzatamente sovrapposta una finalità spuria: concorrere a determinare la «maggiore rappresentatività sindacale» a livello nazionale [d.lgs. n. 396/1997].
Il 7 agosto 1998 è definito il primo Accordo per la costituzione delle Rsu nella pubblica amministrazione e il relativo Regolamento elettorale. Un Regolamento antidemocratico, disegnato per consolidare il monopolio sindacale in atto, che mette al riparo da risultati negativi chi gode di una rendita di posizione poiché, essendo già titolare di tutti i diritti sindacali, dall’assemblea all’affissione, può cercare più facilmente candidati e può fare propaganda alle proprie liste, mentre chi non ha questi diritti rischia di non poterli mai acquisire. Un’elezione, inoltre, che concorre a misurare la rappresentatività nazionale sommando i voti ottenuti su liste presentate nelle singole amministrazioni con candidati appartenenti ai singoli luoghi di lavoro, piuttosto che su una lista nazionale come sarebbe logico, quindi: niente lista nell’amministrazione di appartenenza – niente voti per il comparto nazionale. L’ambiguità di questa procedura che lega la rappresentatività nazionale a elezioni di livello molto diverso, cioè la singola scuola, è spesso sottovalutata, o volutamente sottaciuta, nonostante sia proprio il riconoscimento della «maggiore rappresentatività» il risultato più rilevante di tutta l’operazione elettorale: così si decide chi acquisisce tutti i diritti sindacali e chi partecipa alla contrattazione nazionale di comparto, chi firma i contratti che in questi anni ci hanno così fortemente penalizzato.
Facciamo quindi attenzione alla lista che voteremo il 14, 15 o 16 aprile prossimi: il voto al/la stimato/a collega rischia di accelerare ancor di più la diminuzione delle retribuzioni e la perdita dei diritti a cui ci hanno abituato i contratti nazionali.
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