LIBERI E LIBERE DI PROTESTARE. NO al decreto in-SICUREZZA

«il proibire una moltitudine di azioni… non è prevenire i delitti
che ne possono nascere, ma… è un crearne di nuovi…
e il più sicuro ma il più difficil mezzo di prevenire i delitti è
il perfezionare l’educazione»
Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764

Il cosiddetto Decreto Sicurezza è un intervento “simbolico” che, attraverso l’introduzione di almeno quattordici nuovi reati e l’inasprimento delle pene per almeno altri nove già esistenti, mostra la faccia feroce di un Governo che da un lato vuole rispondere con vuota propaganda alla pancia di una popolazione incattivita dal peggioramento generale delle proprie condizioni di vita e dall’altro criminalizza la marginalità sociale e le manifestazioni di dissenso, senza nessun incremento reale della sicurezza di cittadini e cittadine.

Infatti, come scrive l’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale – AIPDP, «Pensare di garantire la sicurezza dei cittadini facendo esclusivo affidamento sul diritto penale è, d’altra parte, illusorio. Come confermano studi scientifici condotti a livello nazionale e internazionale, la creazione di nuovi reati o l’inasprimento delle pene non può garantire di per sé migliori livelli di sicurezza per i cittadini, né risolvere le cause – economiche, sociali, culturali – alla base delle forme di criminalità che si intendono contrastare».
Inoltre, «l’introduzione di aggravanti prive di fondamento razionale danno vita a un apparato normativo che non si concilia facilmente con i principi costituzionali di offensività, tassatività, ragionevolezza e proporzionalità» [Associazione Nazionale Magistrati – ANM] riuscendo perfino a peggiorare il fascista codice Rocco.

Di seguito qualche considerazione su alcuni articoli.
Art. 10 – Introduce nel codice penale l’art. 634-bis, che punisce il nuovo reato di «occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui» con la reclusione da 2 a 7 anni sia per l’occupante sia per chi coopera con esso. Una pena uguale a quella comminata per l’omicidio con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro! Viene anche introdotto l’art. 321-bis, che dà alla polizia il potere di sgomberare immediatamente l’immobile occupato.
Art. 11 – Senza alcuna plausibile ragione, introduce come aggravante per qualsiasi reato il fatto di averlo commesso «all’interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri».
Art. 12 – Aggiunge il caso di violenza o minaccia alla persona nei casi di danneggiamento in occasione di manifestazioni, inasprendo le pene già previste.
Art. 13 – Amplia i casi in cui il questore può disporre il divieto di accesso a specifiche aree urbane [il cd “DASPO urbano” introdotto nel 2017 dal decreto Minniti] per un periodo non superiore a dodici mesi. L’osservanza di questo divieto subordina anche «la concessione della sospensione condizionale della pena».
Art. 14 – Trasforma il blocco stradale [aggiungendovi quello ferroviario] da illecito amministrativo a reato, prevedendo la reclusione da 6 mesi a 2 anni, se compiuto da più persone, evidentemente contro scioperi e manifestazioni non autorizzate.
Art. 15 – Abroga il differimento obbligatorio della pena per le donne in gravidanza o madri di figli/e fino a un anno e lascia al giudice la possibilità di deciderlo.
Art. 16«Impiego di minori nell’accattonaggio. Organizzazione e favoreggiamento dell’accattonaggio. Induzione e costrizione all’accattonaggio». L’età del minore passa da 14 a 16 anni e la reclusione dal massimo di tre anni a cinque, e fino a sei per «Chiunque induca un terzo all’accattonaggio, organizzi l’altrui accattonaggio», che può arrivare a nove anni «se il fatto è commesso con violenza o minaccia». Con pesantissimi effetti su contesti sociali connotati dalla povertà.
Art. 19 – Aumenta fino alla metà le pene previste per i reati di violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale se il fatto è commesso contro un agente di polizia.
Art. 20 – Punisce anche lesioni lievissime a danno di agenti di polizia in servizio con pene da due a cinque anni.
Art. 26 – Aumenta le pene per chi «istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero all’odio fra le classi sociali», se il fatto avviene in carcere [l’art. 415 c.p. prevede una pena fino 5 anni] da parte di detenuti/e o mediante comunicazioni a «persone detenute». Introduce l’art. 415-bis c.p. che punisce con la reclusione da due a otto anni chi promuova, organizzi o diriga una rivolta e con la reclusione da uno a cinque anni chi vi partecipi mettendo in atto «anche le condotte di resistenza passiva», come potrebbe essere il rifiuto del cibo o dell’ora d’aria. E in casi particolari le pene possono arrivare fino a 20 anni.
Art. 27 – Estende alle «strutture di trattenimento per i migranti» le fattispecie previste dall’art. 26 per il carcere.

Contro questa visione securitaria e carcerocentrica che utilizza il diritto penale per la repressione delle diverse forme di dissenso e delle condotte che emergono da contesti di marginalità sociale, e che denota un pericoloso disinteresse nei confronti di un’emergenza carceraria [sovraffollamento e record di suicidi] che questo decreto aggraverà

sabato 31 maggio, ore 14.00
MANIFESTAZIONE NAZIONALE
a piazza Vittorio – Roma

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