
Da quando il cosiddetto “razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola” [d.P.R. n. 81/2009] ha provveduto a tagliare tante istituzioni scolastiche con l’eufemistico “dimensionamento” nonché a saturare tutte le cattedre delle scuole secondarie a 18 ore settimanali [“anche mediante l’individuazione di moduli organizzativi diversi da quelli previsti dai decreti costitutivi delle cattedre”], abbiamo assistito – oltre al conseguente taglio dell’organico docente e ATA – a una sempre maggiore frequenza di cattedre costituite su più plessi o su più scuole [queste ultime, le cattedre orario esterne – COE].
Così sempre più spesso ci troviamo di fronte a colleghi/e costretti/e a saltellare giornalmente da una sede all’altra per incastrare il proprio orario settimanale nel generale quadro orario delle lezioni delle scuole, con una dilatazione della propria giornata lavorativa che spesso supera – a causa degli spostamenti – le 6 ore giornaliere, a fronte di sole 3 o 4 ore di lezione.
Naturalmente, in questo caso non si tratta delle tanto odiate “ore buche”, ma di un orario “bucato” necessario a consentire gli spostamenti da una sede all’altra, forse meglio assimilabili a quelli che erano i “viaggi comandati” degli autisti, già regolamentati dal risalente R.d.l. n. 2328/1923.
Spesso nei contratti d’istituto – come COBAS – abbiamo provato a inserire un riconoscimento economico forfetario, un sorta di indennità, per coloro che sono costretti a spostarsi nella stessa giornata da un plesso a un altro.
Ma la questione andrebbe affrontata in maniera più generale prevedendo un ampliamento di organico per evitare la necessità degli spostamenti o, comunque, riconoscendo che il tempo dello spostamento da una sede all’altra non è tempo “libero”, ma tempo funzionale all’espletamento della prestazione lavorativa da retribuire.
Purtroppo nei CCNL né l’ARaN né le OO.SS. cd “maggiormente rappresentative” hanno preso in considerazione questa situazione, col conseguente disagio che ne deriva e i costi che comporta, che invece in altri settori lavorativi sono già riconosciuti contrattualmente o da una estesa e costante giurisprudenza [ex alii, Cass. n. 15821/2000; n. 5775/2003; n. 5701/2004; n. 3575 e n. 5496/2006; n. 5023/2009; n. 17511/2010; n. 10020 e n. 26581/2011; n. 9062, n. 9063 e n. 9064/2014; n. 20694/2015; n. 13466/2017; n. 24828/2018; n. 11338 e n. 27920/2021; n. 27008/2023].
Anche quest’anno la Corte di Cassazione [Ord. n. 14848/2024] ha affrontato la questione e ha respinto il ricorso della TIM/Telecom Italia contro la decisione della Corte d’appello di Roma che dava ragione a diversi lavoratori sostenuti dai COBAS a proposito del riconoscimento come tempo di lavoro – e quindi da retribuire – quello intercorrente tra la timbratura all’ingresso dell’azienda e il log-on dalla propria postazione e ritorno [10 min. al giorno].
In quest’ultima decisione viene ancora ricordato che “In tal senso è orientata la giurisprudenza consolidata di questa Corte, con orientamento di recente ribadito proprio in relazione a vertenze promosse da lavoratori ai fini della computabilità del tempo per raggiungere il luogo di lavoro, il quale rientra nell’attività lavorativa vera e propria (e va quindi sommato al normale orario di lavoro) allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione lavorativa (Cass. 27008/2023)”.
Peraltro, anche alcuni passaggi di quest’ultima Ordinanza, nonostante sia riferita a tutt’altro settore lavorativo, sembrano adattarsi perfettamente alla situazione scolastica quando affermano che: “si tratta di una attività eterodiretta ed obbligatoria e tale conclusione deve essere ritenuta altresì logica e fondata perché è la datrice di lavoro che ha deciso come strutturare la propria sede [allo stesso modo dell’amministrazione che conferisce l’autonomia alle istituzioni scolastiche costituite anche da più plessi o che costituisce COE]; dove collocare la postazione di lavoro dei ricorrenti [come avviene con l’assegnazione alle classi/plessi] … è la datrice che ha deciso che all’orario esatto di inizio turno i ricorrenti debbano essere già innanzi alla propria postazione [come trovarsi in aula nel rispetto dell’orario settimanale delle lezioni]”.
Infine, questa decisione della Cassazione fa anche un esplicito riferimento alla precedente Ordinanza n. 27008/2023, nella quale è specificato che gli “spostamenti durante i quali detti lavoratori, non avendo la possibilità di disporre liberamente del proprio tempo e di dedicarsi ai loro interessi, devono ritenersi a disposizione dei loro datori di lavoro e sono, pertanto, da considerarsi come al lavoro anche durante tale tragitto (cfr. Cass. 27920/2021)”.
Non esistendo una disciplina specifica sul tema [come non c’è sulla vestizione, il cosiddetto “tempo-tuta”], il diritto alla retribuzione in queste situazioni discende dalla prassi giurisprudenziale o amministrativa, che l’ha deciso quando sussiste eterodirezione del datore di lavoro, proprio come accade quando il quadro orario settimanale delle lezioni obbliga nella stessa giornata a spostamenti tra le diverse sedi.
E stessa situazione potrebbe crearsi anche per il personale ATA qualora fosse costretto a spostarsi da un plesso a un altro: il tempo dello spostamento è tempo di lavoro da retribuire.
Invitiamo tutte/i coloro che si trovano in questa situazione a valutare insieme ai nostri legali come far riconoscere il diritto alla retribuzione per il tempo che impiegano negli spostamenti tra una sede e l’altra.
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