4 NOVEMBRE: NON È LA NOSTRA FESTA
Il 4 NOVEMBRE è l’anniversario dell’armistizio che pose fine alla Prima guerra mondiale (1914-1918).
In Parlamento procede l’iter che potrebbe portare al ripristino del 4 NOVEMBRE come festa nazionale (abolita nel 1977). Una simile celebrazione rappresenta un ulteriore passo in avanti rispetto al processo di normalizzazione della guerra e di marginalizzazione della cultura della pace che quotidianamente osserviamo nel mondo educativo e nella società.
Ci sgomenta la particolare attenzione rivolta alle scuole, invitate anche in questa giornata a “sensibilizzare gli studenti sul ruolo quotidiano che le Forze armate svolgono“. Si tratta di una ennesima narrazione falsa ed edulcorata che tace sulla violenza e sulle distruzioni della guerra e mette in risalto quegli interventi in occasione, per esempio, di calamità naturali, che in realtà potrebbero essere svolti da un servizio potenziato di Protezione Civile. Un tentativo di far accettare supinamente alle nuove generazioni l’inevitabilità delle guerre eludendo ogni forma di riflessione critica sul tema.
Una celebrazione del 4 NOVEMBRE porta con sé una forte ventata di nazionalismo, attraverso la retorica del compimento dell’unità nazionale, e di militarismo facendo ricorso alla retorica del sacrificio: “si intende ricordare … tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi”.
Noi, proprio perché abbiamo il massimo rispetto per chi ha perso la vita nel corso del primo conflitto mondiale, pensiamo che la riflessione sul 4 NOVEMBRE debba indagare i fatti storici sottraendoli alla retorica militarista.
Va ricordato che la I Guerra Mondiale fu per il nostro Paese una guerra di aggressione. Fu infatti l’Italia a dichiarare guerra all’Austria, dopo aver sottoscritto il Patto di Londra con cui Francia, Gran Bretagna e Russia assicuravano all’Italia, in caso di vittoria, l’espansione dei propri confini anche in territori in cui la popolazione italiana era in netta minoranza (e nei quali pochi anni dopo avvenne l’italianizzazione forzata). E inoltre l’Albania, le isole del Dodecanneso e “un’estensione dei possedimenti italiani in Eritrea, Somalia e Libia”.
Scopo della guerra non era tanto, dunque, di completare il percorso risorgimentale verso l’unità nazionale – con tutti i massacri e le false promesse subite dal Sud – quanto invece di riaffermare il carattere imperialistico di un’Italia che rivendicava il diritto all’occupazione di terre altrui né più né meno di altre potenze coloniali europee.
Contro la narrazione a senso unico della guerra popolare vittoriosa è fondamentale ricordare la diffusa opposizione di tanti soldati verso i comandi che sfociò in diversi episodi di diserzione e renitenza alla leva con conseguenti condanne nei tribunali militari e decimazioni al fronte: circa 870mila denunciati, 350mila processi celebrati, 170mila condanne eseguite, con 4.000 esecuzioni capitali.
La ferocia dei comandi militari, le decimazioni, le condizioni bestiali in trincea hanno caratterizzato la Prima guerra mondiale. Un conflitto che Papa Benedetto XV definì “una inutile strage”.
Non intendiamo, a oltre cent’anni di distanza da quei tragici eventi, assecondare l’esaltazione acritica delle idee di patria e di dovere legate all’annientamento del nemico che conduce alla vittoria e alla gloria perpetua.
La guerra, qualsiasi guerra, non ammette vincitori, è solo morte e distruzione.
Nel contesto attuale, le celebrazioni del 4 NOVEMBRE diventano l’occasione per esaltare non solo il passato bellicista, ma il presente sostegno alla guerra, proprio nel momento in cui si profila il terribile spettro di una guerra totale.
Il processo di militarizzazione è già molto avanzato nelle nostre scuole di ogni livello (con la presenza di militari in tanti progetti scolastici e con l’alternanza scuola-lavoro nelle caserme), nelle università (con la ricerca finanziata dall’industria bellica), nella società (con le mostre, le parate, gli spot televisivi, i mezzi militari impiegati in funzioni di polizia urbana…).
Si parla oggi perfino di ripristinare il servizio di leva, mai abolito, ma solo ‘sospeso’ nel 2004, anche per gradi attraverso il progetto della ‘mini naja’. Va quindi rilanciata fra le giovani generazioni l’obiezione di coscienza coerentemente con chi, oggi, appoggia la diserzione russa.
Soprattutto oggi, in un mondo attraversato da conflitti laceranti, facciamo appello alla difesa e diffusione della cultura della pace, come prescrive la nostra Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra” (art. 11)
OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ
Per contatti: osservatorionomili@gmail.com

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